23/05/2024
- Approfondimento di comunicazione d'Impresa - Redazione di Largo Consumo
Evoluzione offerta Gdo

Da Private Label a  Private Brand, secondo I dati di Dunnhumby

Da Private Label a  Private Brand, secondo I dati di Dunnhumby

Lo scaffale della Gdo, in continuo divenire, è, quotidianamente, per il consumatore, oggetto di studio e di analisi.

Anche dunnhumby, leader globale nella scienza dei dati dei clienti, prendendo in esame proprio l’offerta mutevole della Grande Distribuzione, ha puntato l’obiettivo sul crescente ruolo del marchio privato del retailer nel potenziare le vendite, l'engagement e la fedeltà del cliente Gdo.

Un’analisi pubblicata nel report Winning with private brands, the Customer First way della quale Siro Descrovi, Consulente strategia e insight di dunnhumby, spiega i dettagli concentrandosi sull’evoluzione alla quale il mercato sta assistendo, dalla private label al private brand, dimostra come il Private Brand si posiziona al primo posto tra i fattori determinanti per i consumatori nel momento in cui decidere da quale retailer acquistare.

«Partendo dalla ricerca RPI che dunnhumby conduce per capire cosa guida la scelta dei consumatori, proprio analizzando i diversi aspetti dell’esperienza di acquisto, negli ultimi anni,  abbiamo notato, soprattutto in alcuni mercati europei come, quegli attributi della Pl, quindi, il prezzo, la qualità e la varietà andavano ad impattare sui corrispondenti dell’insegna, oggi hanno formato un trittico che determina un nuovo driver di scelta. Se il consumatore, dunque, inizialmente utilizzava gli attributi della Pl, quindi il suo prezzo, la sua varietà e qualità, come sotto parti dell’immagine di prezzo, di varietà e di qualità dell’insegna, negli ultimi anni, è emerso che il consumatore riunisce questi elementi in una nuova categoria mentale, la MDD per l’appunto, che diventa fattore a sè stante per scegliere dove acquistare.

È cambiato il parametro di scelta. Le insegne, infatti, hanno lavorato molto bene, trasformando le Pl in Private brand.

Il primo a parlare di questo fenomeno è stato il Prof. dell’Università Cattolica Edoardo Fornari».

Continua Descrovi, «La scelta dell’insegna, oggi, si sgancia dalla logica iniziale del retail che copia il prodotto del leader di distribuzione, mentre si cerca di creare linee e prodotti con un brand chiaro dell’insegna.

Si tratta della costruzione di un brand vero e proprio con prodotti che nascono da nuove line e che, in alcuni casi, nemmeno riportano il nome dell’insegna che li distribuisce».

Le Pl stanno acquisendo autonomia e percorrono un percorso parallelo all’insegna madre.

E i motivi di questo cambiamento sono diversi. Come spiega Descrovi: «Noi classifichiamo le Pl in 5 categorie. Le prime 3 sono basate sul posizionamento di prezzo: primi prezzi, medium e premium. In genere è quella media che si posiziona con il band retailer, portandone il nome e lavorando sul rapporto qualità/prezzo. Nelle altre due, invece, per ragioni diverse, non sempre viene riportato il nome del retailer, strategicamente. Del resto, l’insegna non vuole essere associata ai beni con prezzo più basso, così come a quelli della fascia Premium, di linee lusso o superior per non condizionare la percezione del consumatore.

Le altre due categorie di Pl che si stanno staccando dal nome del retail sono quelle relative ai prodotti di lifestyle, che si rivolgono a certe tipologie di consumo e anche a quei prodotti che riportano, sull’etichetta, nomi di fantasia. Molti discount lo stanno facendo. Ad esempio Eurospin, offre un vasto assortimenti di prodotti con Pl, creati da diversi attori nel mondo della produzione, come piccoli produttori. Siamo di fronte a una scelta strategica per creare varietà e movimento nello scaffale.  Così come Aldi».

In un momento in cui il marchio privato ha raggiunto circa il 38% del valore delle vendite in Europa e nel caso specifico dell'Italia la sua quota raggiunge il 29,7% (con un trend positivo anno dopo anno), sta diventando imprescindibile per i retailer adottare una strategia adeguata.

Dalla nascita di queste Pl, si creano, inevitabilmente, meccanismi e processi di crescita legati al marketing che si discostano dai percorsi di sviluppo dell’insegna.

«Alla luce di questa trasformazione nel retail legata alla creazione di diversi brand, come ho verificato personalmente in alcune alcune aziende in cui ho lavorato in Danimarca e in Uk, si cerca di creare dei ruoli e delle competenze di brand nel marketing del retailer che facciano quello che fa l’industria. La Pl non è più in mano solamente ai buyer, ma è condivisa con il marketing cosicchè mentre in funzione dei bisogni dei clienti, si individuano delle opportunità a livello di categoria e posizionamento, si creano dei brand con logiche da industria e poi si lavora con il team del commerciale per intercettare il produttore ad hoc».

In sostanza, oggi si crea e si offre al mercato in funzione dei bisogni.

«Per questo, sono state attivate, all’interno delle insegne retail, delle competenze che vadano ad indagare proprio i bisogni del consumatore e che portino avanti un iter seguendo una logica tipica dell’industria di marca».

Infatti, per i retailer interessati a sviluppare la propria offerta di marchio privato per renderla più attraente agli occhi dei propri clienti, dunnhumby consiglia tre azioni chiave:

Stabilire il ruolo di ciascun marchio privato, perché tutti i marchi privati devono contribuire al posizionamento generale del retailer, sia individualmente che insieme. Creare un team di brand marketing dedicato e, infine, definire e implementare la strategia di brand attraverso le "7 P", quindi Persone, Prodotto, Prezzo, Promozione, Posizione, Packaging e Posizionamento.

Su ciascuno di questi pilastri occorre stabilire delle strategie di brand ed è fondamentale comprendere come comunicare al consumatore.

«Se inizialmente l’importanza era focalizzata attorno al prezzo, ora si cerca di costruire meglio l’offerta. Finché uno lavora solo su Pl utilizza solo alcune P, mentre, nel momento in cui si parla di Private Brand, si ragione in modo più strutturato».

Quando si passa da Private Label a Private Brand? Esiste un confine? E come riconoscere le differenze?

«Ci sono diverse prospettive. La prima, è quella della percezione del consumatore. Mentre la seconda è quella che si definisce guardando, a livello impresa, come viene gestita internamente, se come appendice, o se strutturata.

Le industrie devono dialogare col cliente, sempre al centro e trovare sempre il giusto compromesso.

Osservando iI mercato straniero, ci sono alcuni mercati come Svizzera, Belgio, Spagna dove il livello di penetrazione della Pl è davvero importante. In Italia, dove i consumi sono diversi e dove c’è molta ricerca del brand, fino a qualche anno fa, la Pl è stata vista come una scelta di tipo B. In questo senso, l’Italia è rimasta indietro rispetto agli altri Paesi europei. Ciò, però, non significa che non ci siano player in Italia, come Coop, Conad e Esselunga, che negli ultimi 5, 6 anni hanno lavorato molto bene sulla PL.

Del resto, per ragioni di abitudini di consumo e culturali, in Italia l’acquisto dell’alimentare è meno piatto e funzionale rispetto all’estero. Per questo, finora, la Pl che aveva un posizionamento di second best, sta lentamente evolvendo in Private Brand. Da una parte il bisogno di risparmio dei consumatori italiani e dall’altra un Pl in netto miglioramento, ha permesso il match ideale».